Benji racconta di un grave disagio psichico, mettendo in scena una personalità scissa che per esistere in una collettività oppressiva deve crearsi un amico immaginario.
Attraverso il racconto della sua vita, dall’infanzia, piano piano si disvelano le emozioni più profonde di questa giovane donna, entrando nel vortice del suo pensiero e del suo disagio. Qual è il confine tra normale e non? Quale forza e azione ha l’ambiente circostante nella crescita della propria identità, più o meno solida?
La ferita in Benji è esistenziale, con lei assistiamo al suo dolore di vivere, alla sua incapacità di capire e capirsi. Insieme a lei ci ritroviamo catarticamente impotenti di fronte alla sofferenza mentale, alla rabbia, alla mancanza d’amore….che troverà forse, un riscatto alla fine del suo racconto. Della giovane donna sappiamo tutto, ma non il nome. Benji è il nome della sua amica immaginaria, prodotto di una mente bambina, che cerca riparo e equilibrio in una realtà altra. Benji è una peste, una canaglia, una vera bestia, come dice lei. E’ tutto ciò che dentro di lei urla per essere ascoltata e aiutata. Ma non riesce ad essere accolta dal mondo esterno, dai genitori, dai professori, dai medici. Il testo mette in luce anche il grande tema del destino intrecciato tra genitori e figli, della difficoltà di essere dall’una e dall’altra parte, dell’incapacità di ascoltare un figlio diverso dalle aspettative, di qualcuno che non risponde come dovrebbe, come ci si aspetterebbe.
Benji ci commuove immensamente, non possiamo far altro che viaggiare con lei per capire meglio le fragilità che ci appartengono. Ad ognuno di noi.
Traduzione Anna Parnanzini e Maggie Rose
Costumi Barbara Bessi
Produzione ASS.CULT. INARTE
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